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C’era un pittore, nato a Bologna, noto a Parigi.
C’era e non c’era.
Dedicò all’arte l’intera sua esistenza, non facendo altro, non interessandosi ad altro. Eppure retrocesse progressivamente dalla sua postazione di artista fino a eclissarsi.
Fu un processo lento ma costante, non accompagnato da dichiarazioni o pubblici annunci.
Gli esordi erano stati - come si dice - promettenti: l’attenzione di Longhi e di Arcangeli, premi importanti vinti in giovane età, l’ingresso ai Salons parigini. Per qualche tempo deve aver pensato che interpretare il ruolo di artista gli si confacesse, in quanto appunto viveva e agiva e sentiva come un artista. Poi qualcosa si è inceppato.
Le sue apparizioni pubbliche, già infrequenti, si diradarono ulteriormente. Gallerie e Musei videro ricambiati i loro inviti con promesse non mantenute, rinvii a tempo indeterminato. E soprattutto i suoi lavori mutarono radicalmente: ridusse le dimensioni, accantonò il figurativo, sperimentò nuove tecniche. Continuava a dipingere, fotografare, comporre, e tuttavia non mostrava le sue opere se non a pochi intimi.
Chi gli stava vicino lo sentì quasi sempre sminuire quel che andava dipingendo e giustificarsi spesso con frasi vaghe e insieme laconiche quali «non è più il tempo per…», cui seguiva puntualmente uno sguardo, a cercare un cenno d’intesa.
Anno dopo anno Nocera svanì, si rese come invisibile, impercepibile, e nel contempo si frammentò, decostruendo la sua opera e perfino la sua ispirazione. Finché non ottenne l'oblio, la totale indifferenza.
Ma era quello che voleva?
Mimetizzato, anacronistico, autodeclassato, fino all'ultimo giorno di vita - quasi a dispetto di sé - non riuscì però a essere altro che un artista. Il suo lascito pare uno di quei giochi enigmistici in cui occorre congiungere i puntini. La sensazione è che, in silenzio, si augurasse che qualcuno, prima o poi, ci avrebbe provato.

(catalogo della mostra “Salvatore Nocera. Un decennio di ritardo”, a cura di Elisa Del Prete, Bologna, maggio-luglio 2017)