L'artista sta in piedi di fronte a una grande tela bianca. Alle sue
spalle un centinaio di spettatori. L'artista avvia una serie di
soliloqui che in realtà sono colloqui: fornisce alcune indicazioni
pratico-tecniche ai suoi collaboratori.
La tela dunque è bianca, i
collaboratori non interloquiscono (non compaiono) e il pubblico si trova
alle spalle dell'artista. Eppure, poco alla volta, pare quasi di
sentire altre voci - benché l'udito colga solo brevi silenzi nel
soliloquio dell'artista - e insieme si percepisce il materializzarsi di
un progetto visivo - benché gli occhi continuino a constatare che la
tela è bianca.
Quando il pubblico sta per assuefarsi a quell'udire e
a quel vedere, la luce se ne va, e con lei l'artista. Ora l'attenzione
si trasferisce su un'altra grande tela bianca, al lato opposto della
sala. Lì i collaboratori, in carne e ossa, mettono mano
all'allestimento, compiendo, con fare sapiente e ritmo costante, le
azioni cui accennava l'artista. Si assiste, sulla tela, a una sorta di
ricomposizione anatomica che è anche, ai piedi della tela, un
corrispondere a distanza (fuori sincrono) dell'atto alla parola.
Il
progredire è contrappuntato da una robusta evanescenza musicale e
punteggiato da figure di danzatrici pressoché antitetiche (due
adolescenti semi-semoventi e una professionista autoritaria e
nevrotica).
La tela, alla fine, si completa, la danza si acquieta, la musica tace. Il pubblico può avvicinarsi all'opera.
L'artista
è Marta Dell'Angelo, meglio di un'attrice. La regista, che ha
trasformato in autentica esperienza teatrale un rituale di arte
contemporanea, è Fiorenza Menni.
(Teatro San Leonardo, Bologna, 29 gennaio 2016)